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L’ascensore – Alessandro e il rimorso

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Questo racconto è il seguito de L’ascensore – Anna e la superficialità

 

citta-del-futuro-1In questo nuovo mondo creato dopo la Grande Singolarità, era piuttosto insolito abitare vicino ai parenti. Il Sistema dava la possibilità a tutti di viaggiare senza limiti. Chi ancora lavorava, lo faceva più che altro per una limitata fantasia nello scegliere l’oggetto delle sue attenzioni. Lavorare aveva ormai un solo significato: mettersi ancor più nelle mani del Sistema e lasciare che questi non solo programmasse il carattere della persona, ma anche le sue attività e le sue scelte. Si potrebbe dire, quindi, che persone come Anna, superficiali in modo quasi imbarazzante, erano diventate piuttosto comuni. Insomma, il pianeta che una volta era popolato di agricoltori, operai, impiegati, era poi passato ad una fase di crescita esponenziale, tecnologica, filosofica e democratica, fino all’avvento della Grande Singolarità. A questo punto, nel giro di pochi mesi, molti dei problemi e delle paure che avevano attanagliato il genere umano per millenni erano scomparsi. La fatica, la tensione e così anche l’impegno e, immancabilmente, la crescita filosofica degli umani si erano notevolmente affievolite. Come succede sempre, dopo ogni singolarità, il desiderio dell’uomo si era appiattito, anche se non scomparso del tutto. Una singolarità nella liberalizzazione del genere umano aveva prodotto un calo enorme di adrenalina, e con questa del desiderio.

Era stato così molto facile, per il Sistema, organizzare i programmi esistenziali di persone divenute semplici, molli, spesso anche sciocche, per mancanza di stimoli. Ma questo non era visto come un problema. Anche coloro che avevano deciso di non farsi controllare troppo dal Sistema non erano preoccupati per una situazione che, tutto sommato, garantiva pace, stabilità, ricchezza e libertà. Già, una libertà smisurata. In pratica non esistevano più i confini, alla libertà individuale e dei popoli, che avevano prodotto, per millenni, interminabili e disastrose liti, guerre e genocidi. Alessandro aveva vissuto da giovane il momento della Grande Singolarità. Ricordava benissimo quella rivoluzione degli anni ’50, che in pochi mesi aveva cambiato lo stile di vita di ogni essere umano. Che aveva cambiato soprattutto il carattere delle persone. Un cambiamento paragonabile al domare un cavallo selvaggio, ma che dico, all’addomesticare una razza felina; insomma, una vera rivoluzione.

Alessandro mi accolse con un largo sorriso. Mi disse che Elena stava per uscire e ci avrebbe lasciati soli per tutto il tempo necessario. Elena voleva molto bene ad Anna, sua figlia, e coglieva ogni occasione per starle accanto, in particolare quando Alberto era lontano da lei. Così, Elena salutò me ed il marito e s’avviò verso lo stesso ascensore che io avevo preso qualche minuto prima, ma in senso opposto, verso il piano 72.

‘E’ sempre bellissima Elena’ pensai. In effetti, facevo una grande fatica, ogni volta, a distinguere tra madre e figlia, ora che i segni del tempo erano del tutto scomparsi sul volto e la postura delle persone. Elena era bellissima e lo sarebbe rimasta per tutto il tempo che desiderava. Anche per Anna era la stessa cosa, ma sulla bellezza Anna era una perfezionista, come avevo potuto riscontrare poco prima quel giorno.

“Vede, caro amico” mi disse Alessandro, “lei non può capire questo rimorso che mi accompagna da alcuni anni. Lei è giovane. Non ha vissuto il periodo pre-singolarità”.

“Me ne parli, se vuole” risposi, mettendo delicatamente una mano sulla sua spalla destra, “sono qui per questo. Peraltro, mi fa piacere ascoltare le storie pre-singolarità, anche perché sono sempre storie così diverse. Dev’essere stato un periodo di grande fermento”.

Hendryk+Andersen“Sì, erano altri tempi, con momenti belli e brutti, periodi di pace e periodi di guerra, di grande fatica e grandi passioni, ma anche momenti di estrema felicità. Chi li ricorda li vede come momenti di schizofrenia del genere umano. Oggi, persone che si comportassero come facevano tutti allora sarebbero suoi clienti affezionati e la arricchirebbero” mi disse con un largo sorriso, che sfociò immediatamente in una fragorosa risata. Naturalmente, risi anch’io di buon gusto, anche se non capivo fino in fondo le motivazioni di tanta ilarità, dato che il concetto di ricchezza era per me obsoleto come il concetto di oscurità lo era per gli umani del tardo ‘900.

“Ma non sono queste le storie per le quali provo rimorso, naturalmente” disse Alessandro, tornando ad essere molto serio e quasi cupo. “Ad Anna, è vero, non manca niente. Ha un marito che ama e che l’ama, e che segue in giro per il mondo quando si allontana da noi. Non ha, insomma, alcun problema materiale ed affettivo, si direbbe una donna felice e penso proprio che lo sia e ne sia cosciente”.

“E allora, qual è il problema?” dissi fissandolo negli occhi, anche piuttosto incuriosito. Ma la mia non era curiosità candida ed ingenua. Ero curioso di sapere se pensava proprio quello che avevo pensato io, lasciando la donna al 72° piano.

“Il problema, caro amico, è che mia figlia mi appare priva di interessi, priva di passione, priva di slancio. Insomma, mi sembra troppo priva di problemi.” Sorrise, probabilmente pensando che io non potessi capire fino in fondo la drammaticità del suo pensiero e del suo sentimento.

“E quale sarebbe il suo rimorso?” chiesi, accavallando le gambe e portando il busto in avanti, per trasmettere il massimo dell’empatia e del sincero interesse per le sue preoccupazioni.

“Dunque, provo rimorso per come ho allevato e cresciuto mia figlia Anna. Sono sicuro, oggi, che nei suoi anni della fanciullezza avrei dovuto comportarmi diversamente, valorizzando e non snobbando lo stile di vita mio e dei miei coetanei del periodo pre-singolarità.

Tutto questo benessere, questa facilità nell’ottenere ogni cosa, la mancanza di ogni problema materiale. Penso che tutto questo mi abbia trovato impreparato dopo la nascita di Anna. Nessuno mi ha detto che la facilità del vivere, nella seconda parte della mia vita, avrebbe potuto produrre persone senza quegli interessi che avevano caratterizzato ed eccitato la mia vita, quando ero adolescente e giovane.

Ecco, vede? Questo è il rimorso che provo. L’eccitamento per il nuovo corso, la scarsa attenzione per la costruzione del carattere di mia figlia, e soprattutto quell’adagiarmi nel benessere, insieme alla mia famiglia. Tutto ciò ha fatto sì che mia figlia crescesse, come posso dire, piatta, semplice. A volte mi sembra addirittura annoiata. Anche se capisco che non lo sia affatto, capisco pure che forse ho privato mia figlia di un’opportunità, e cioè l’opportunità di imparare a superare delle difficoltà. Me lo lasci dire con schiettezza. Avei dovuto insegnare a mia figlia a soffrire, finanche a logorarsi, a raggiungere il fondo, e poi a risollevarsi, a guardare alla vita con occhi nuovi, a capire che l’interesse per gli altri è la cosa più importante, che c’è ben altro che la bellezza in una donna e per una donna”

Ascoltavo Alessandro con molto interesse. Era proprio come pensavo. Le sensazioni che avevo provato un’ora prima in ascensore prendevano forma nelle parole di Alessandro. Ne capivo meglio il significato. Ne percepivo la sostanza. In effetti non era tutto così chiaro, ma una cosa era sempre più chiara: il Sistema, al quale offrivo il mio tempo, il mio interesse e la mia azione sociale, non aveva organizzato le cose in modo perfetto. Aveva solo appiattito l’esistenza delle persone per rendere la vita più sicura, più piacevole, me anche più noiosa, e a loro insaputa.

Il racconto prosegue con L’ascensore – Roberto e l’empatia

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