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Angeli

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curato_di_campagna_claude_laydu_robert_bresson_005_jpg_hqqc1Il mio Angelo l’ho conosciuto. Aveva una lunga tonaca nera sdrucita, lucida per l’uso. Una lunga fila di bottoni ricoperti che lasciavano intravvedere il metallo sottostante. Aveva un bel faccione rotondo, gioviale e sorridente, di quelli che non disdegnano il buon cibo e un bel bicchiere di vino rosso. Aveva una moralità di quelle antiche, da parroco di campagna. Mi faceva confessare le mie marachelle di bimba seduta davanti a lui, con le mani giunte e le dita intrecciate. E mentre parlavo mi guardava sorridendo e  mi carezzava le nocche con delicatezza paterna. Piccolo e tozzo, non aveva certo l’aspetto di un Angelo, anche se questo era proprio il suo nome: ma questo era il suo aspetto terreno. Morì piuttosto giovane per colpa del suo grande cuore che diventò sempre più grande, fino a fermarsi improvvisamente una tiepida sera di aprile. Scoprii solo dopo che lui sapeva di dover morire, tanto che lasciò un testamento spirituale che conservo sempre con me. Ero piccola quando morì e piansi tanto, tanto che gli promisi di dedicargli il primo figlio che avessi avuto. Dopo tanti anni nacque Angelica, anticipando di un mese la sua venuta. Nacque il 2 di ottobre, il giorno degli Angeli Custodi. Fu allora che capii che il mio Angelo mi aveva mandato il suo messaggio; lui che nel suo testamento scriveva -Ogni bambino che viene al mondo ci porta il messaggio che Dio non si è dimenticato di noi-. E nemmeno lui si era dimenticato di me.

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Il racconto segue con Messaggi dall’altrove

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