3 Ricordi

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festa di paese

 

Seguito di Casa e rose

 

I pensieri affondavano in un giro di danze e la musica leggera di una festa di compleanno, una festicciola come tante, tra compagni di scuola, di ragazze e ragazzi che si incontrano senza sapere che, tra quelle vite che si  accompagnano e a volte si attraggono, può nascere anche un sentimento profondo ed importante  oppure un flirt fugace e disimpegnato, che è ugualmente essenza d’amore, il quale emana i propri flauti diventando irresistibile e non può essere respinto. Talvolta trascina i protagonisti, in insidiose spire, è un sentimento spontaneo, perfino plateale, lo si scorge negli sguardi belli e ingenui di chi si ama, e può diventare forte, tanto da far del male. Nella realtà grigia che si  contrappone ad esso, c’è segnata la sua stessa fine, per una specie di inevitabile sorte. Prima l’idillio, poi la tempesta, proprio come le stagioni.

Roberto era via da sei anni, dalla nascita di Ester, non l’aveva neanche vista toccare il traguardo incerto della vita. Le aveva dato il cognome, ma non lo sguardo di padre. Era partito, come chi tenta di sfuggire al dolore, per non soffrirne, per non sapere, per l’incapacità di affrontare una situazione che sfugge, poiché sposta le certezze trasformando la gioia in insolubile dubbio.

Roberto era sfuggente per natura, si allontanava muto e mutevole, lasciando alla compagna una domanda, una figlia e tutto il dolore dell’abbandono. Ad Ester invece, lasciava la madre e un’inspiegabile assenza, che  rendeva la donna strana, mai cattiva, ma dall’apparenza assorta, persa nei propri vaneggi, prigioniera nel proprio passato, in quel mondo fittizio che aliena il dolore ma pure i suoi affetti più cari, repressi nella memoria, affinché il dolore stesso fosse addomesticato. All’interno di brevi o lunghi istanti, nella mente di Lory,  sparivano le quotidiane sofferenze, e una gomma invisibile cancellava le negatività, ma con esse veniva offuscato anche il ricordo di Ester vittima inconsapevole, di quelle vicissitudini angosciose ed aliene.

Nel “delirio”, Lory parlava alla piccina con voce flebile e sussurrata, come una voce di bambina, citava versi dei suoi poeti preferiti o latinorum di classica memoria . Per questi attimi interminabili, tutto era in confusione: passato e presente, sogno e realtà, notte e giorno. Tutto era sconvolto dalla necessità  di trovare rifugio nel passato che potesse cancellare quel presente triste.                                                                                                                                                                                                                   Roberto aveva  frequentato lo stesso liceo di Lory, quasi tutti i giorni i loro sguardi si erano incrociati, ma lei aveva interessi che la tenevano lontana dalle storielle di poco conto, volava alto nei suoi sogni e nelle sue aspirazioni, che la vedevano affermata professionista, con le sue lezioni di canto, le sue gare di nuoto e tante altre attività , in cui Roberto non c’era ancora. Lei era un’adolescente piena di sogni, non si aspettava che altri sogni, fino a quel momento sconosciuti, entrassero a sorpresa nella sua vita. Roberto pian piano si sostituì ad ogni precedente interesse e poi ad ogni desiderio e ad ogni respiro, tanto che nella sua mente c’era solo lui, sempre, e quando la storia  finì, lei  si sentì svuotata di ogni pensiero, completamente sopraffatta in tutta la sensibilità della sua anima. Quello che prima le  era parso di vitale importanza, gli orizzonti lavorativi pieni di aspettative  e speranze, si annullavano in un solo pensiero: Roberto, un amore, una tempesta. Una rivoluzione esistenziale, che poteva essere “domata” solo d’amore stesso, quello autentico di “una volta sola nella vita”, così incolmabile e che non dà tregua; quello che  anche quando ti sembra di averlo tra le mani, lo vedi poi sfuggire, lo vorresti  rinchiudere nelle pieghe più remote del cuore, per custodirlo, ed è allora che i sui petali diventati piccole spine insidiose, danno il tormento.

Lo conoscevano tutti Roberto, col suo carattere inaffidabile, correva dietro ad ogni sguardo sorridente di fanciulla. Non era stato semplice, per Lory, instaurare un rapporto di complicità e rispetto. Roberto era distratto, i suoi discorsi vaghi, gli appuntamenti disattesi. Atteggiamento leggero di chi non sa, né vuol nascondere il suo scarso interesse per le relazioni serie , troppo impegnative e premature.  Da una personcina tanto inquieta e  inafferrabile, Lory avrebbe dovuto tenersi lontana, dando ascolto ai consigli di Anna che, sincera e diretta, spesso le aveva ripetuto “Lascialo perdere, non ti merita”. Parole schiette di un’amica vera,  che per essere tale deve anche far male. Lory invece, continuava a vivere quell’amore che come una forma di follia deformava la realtà, nascondendo difetti e inganni, seppur evidenti.

Un sussulto sulla poltroncina e Lory fu sveglia, aveva di fronte sul tavolino da the, la foto assieme ad Anna delle “medie”,  sorridevano. Era palese la loro complicità, due adolescenti felici, che si tengono per mano, consapevoli della loro bella amicizia .

Lory, le parlò come le accadeva per autoconvincersi. “Perché non ti ho ascoltata? Sapevo quanto fossi sincera e ho sospettato persino di una tua gelosia. Tu invece avevi capito tutto e mi volevi proteggere da un sentimento che non può vivere in una persona solamente. E non puoi legare a te un uomo solo perché aspetti un figlio”.

“Un figlio. E di chi?” Quella stupida espressione ironica, dettata dalla diffidenza di un immaturo, avevano lasciato Lory senza  parole. Fu un attimo che Lory e  i suoi occhi delusi si sarebbero allontanati per sempre, pensò che quel bambino era suo soltanto e sarebbe sparita per l’eternità se Roberto, guardandola orgogliosa e determinata, non avesse compreso che forse fosse giunto il momento di crescere. Lory aveva ricevuto in  eredità dai nonni paterni la casetta colonica, che divenne il rifugio nel quale lei e il suo compagno iniziarono la convivenza, un periodo in cui fu radiosa, come lo sono soltanto le madri in attesa. La nuova vita la percepiva come un dono immeritato e dal valore inestimabile, oltre ogni aspettativa. Viveva uno stato di grazia che le iniettava un siero di serenità, sentiva di non appartenere che al suo piccolo essere. Anche Roberto sembrò cambiato, maturò la responsabilità di essere padre, come se quel ruolo inconsapevolmente gli appartenesse da sempre. Si concretizzava una storia come tante, dalla trama scontata e banale, ma il cui epilogo non era affatto scontato.

Il taglialegna invisibile

Il tempo d’attesa, scandito da una quotidianità  ordinaria, venne interrotto un pomeriggio. Roberto preparava la legna che alimentava la grande stufa economica, rivestita di maioliche, dedicandosi con passione al suo  ruolo di uomo forte, cercando di rendere accogliente il casolare, tanto da stupire se stesso per la nuova attitudine domestica. Tornando col carico di legna da sistemare nel gazebo, posto dietro al casolare, vide entrare nel vialetto una figura d’uomo, lo vide bussare ed entrare in casa. Non lo riconobbe ed aspettò per capire. Il tempo cominciò a  passare più lentamente; l’uomo rimaneva nella casa con la sua donna, dalle finestre l’ombra delle due figure era vicina. Roberto tornò ad essere vento e tempesta. Si sentì stupido, strinse fortemente i pugni e l’orgoglioso istinto represso tornò a dominarlo. Aspettò che la figura d’uomo uscisse dal cancello, che si richiuse pesantemente come un macigno e insieme ad esso si seppellirono i sentimenti nel cuore. Lasciò ricadere i tronchi e provò  dolore e l’odio dell’animale ferito a morte, tradito, che non avrebbe mai più saputo riconoscere chi  l’aveva illuso di un bene inesistente.

Sentì che la cosa più giusta fosse di fuggire per sempre, allontanandosi da chi lo aveva deluso, e forse da ogni altra donna. Non volle spiegazioni, non ci furono parole di domanda o di risposta, era completamente sopraffatto da orgoglio e gelosia, non udì il richiamo di Lory, che presagì l’assurdo distacco. Tornò a casa col viso stravolto e bastò lo sguardo di gelo a far capire a Lory che la condannava senza appello. L’allontanava da sé e dalla sua vita, senza darle la possibilità di chiedere o di spiegare, senza quella domanda “Perché?”, che le sarebbe rimasta dentro, diventando il suo incubo futuro. Quell’interrogativo  sarebbe imploso nella sua mente, dove stelle e pianeti ricadevano confusamente in un caos primordiale, lasciando tutto il gelo di un sole che dopo il suo conforto si dissolve per sempre.

Andò via così, senza parole, ma quel suo sguardo riappariva nella testa di Lory e, anche se muto, risuonava come il verso pauroso di un rapace notturno. Confuse voci di una Babele mentale le davano il tormento, finché il cancello non sbatté facendo stridere tutti i suoi ferri e gli alberi del vialetto presero a danzare attorno a Lory, e come una giostra fuori controllo la fecero cadere svenuta.

Anna la ritrovò in quello stato, come non avrebbe mai immaginato nessuno, la riportò in casa e con premura la fece rinvenire, quindi la lasciò tranquilla sulla poltroncina rosa. Quando gli occhi di Lory incontrarono quelli preoccupati di Anna, non ci fu bisogno di chiedere. Il suo sguardo cercava  quegli altri occhi che aveva adorato, in un sussurro chiamò il compagno più volte, finché nella testa, confuse, riapparivano le sequenze del distacco, di lui che le rendeva un rancore tanto profondo, quanto immotivato. In quella casa rimaneva una donna lacerata e vulnerabile privata di quell’amore che nella sua pienezza le aveva riempito l’esistenza e per contro, ora la svuotava, come un vento che spazza i ricordi di un giorno di sole, riportando nel nulla il suo calore. Anna però le era accanto, rimanendo il suo punto di sostegno, e poiché il tempo del parto era vicino, chiedeva a Lory notizie sul nome del bambino o della bambina per spostare i pensieri e i ricordi.

Il nome era stato già deciso da Roberto e Lory lo teneva segreto, come il suo perché inespresso, come anche quella missiva chiusa, rimasta sul tavolinetto  da quel giorno, e per molti anni. Anna continuava a chiedere e a parlare con Lory, non poteva permettere che il dolore la sopraffacesse e ricadesse sulla creatura, che era già protagonista, suo malgrado, di una vicissitudine sofferta. Anna non avrebbe mai potuto abbandonare l’amica, che le era stata vicina come la più tenera delle sorelle quando pochi anni prima i lutti famigliari le avevano fatto vivere un buio simile a quello che ora avvolgeva Lory.

“Il vento invernale, di frequente diventa tempestoso, ma a primavera torna come brezza leggera e diventa quiete, vedrai che è così per tutto, anche per lui e il suo brutto carattere”, “Ma perché, Anna? Io non posso capire, mi tormenta questo interrogativo!”.

“Forse la grande responsabilità di essere padre, forse avrà avuto bisogno di riflettere”, ed Anna continuava con le sue mille ipotesi e rassicurazioni. Ma, nell’intrigato labirinto della sua mente, a Lory  appariva chiara la sensazione che non sarebbe tornato mai più, e dal dolore non riusciva neanche più a piangere. Era disegnato sul viso quel timore o certezza invasiva. “Lory devi sorridere per il bambino, avverte la tua tristezza, devi pensare che tra poco potrai vedere e abbracciare la tua creatura, senza paura perché tu non hai colpe”. Anna e le sue parole, sortivano gran conforto.

Una sera che le due amiche erano sedute davanti ad una buona tisana a conversare, Anna per prima scorse una figura d’uomo davanti al cancello, un’ombra esitante. Incerta la vide anche lei e sperò che fosse ritornato, anche solo per chiarire. Anna sperò fortemente di essersi sbagliata, che il pessimismo di Lory fosse infondato. La figura continuava a rimanere lì davanti e Anna  gli  andò incontro, pensando che affrontandolo avrebbe potuto comprenderlo un po’ di più.

Attraversò in fretta il viale di alberi alti, che come incerte fiammelle, distribuite tra un muro scalcinato e il cielo, circondavano il casolare solitario, le cui pareti erano nascoste da folti arabeschi di muschio. Dopo qualche istante, anche la finestra ornata di edere si apriva e Lory, prese a chiamare Roberto sommessamente, ma questo lo lasciò indifferente e fermo sui suoi passi. Anna gli fu presto davanti e dimenticato il suo bon-ton, quasi lo aggredì con tono di rimprovero e sfida, gli esternò tutto il suo disappunto: “Ti sei dimostrato come  ti si conosceva già, immaturo e vile, ma ti sei anche superato. Come puoi trattarla così male? Distruggerle l’anima solo per il tuo egoismo ed incapacità di crescere.” Roberto con voce bassa quasi un sussurro soffocato dalla rabbia la interruppe: “Lory mi ha ferito, solo il figlio che aspetta ne è testimone”.

Ad Anna parvero parole di un dissennato, ma lui continuò: “Vedo che tu non mi credi, che mi hai già colpevolizzato, chiedi pure alla tua amica, la spiegazione per me è troppo dolorosa, anche solo a parlarne”. Si voltò e a sorpresa si allontanò, lasciando Anna nella confusione più totale. Tornò a casa dove Lory la chiamava pregandola di non abbandonarla anche lei.

Anna tornò di corsa, e dall’espressione Lory comprese: lui non sarebbe tornato mai più, amare e aspettare un figlio non erano ragioni sufficienti  a trattenere a sé un uomo che aveva deciso di non volerti . ‘L’amore’, pensava, ‘è libertà di voler bene, non un surrogato di doveri e sensi di colpa’, non avrebbe mai accettato il compromesso o la sopportazione pietosa che nulla aveva a che fare con l’amore. Se Roberto fosse tornato, l’unica ragione sarebbe dovuta essere l’infinita tenerezza che spinge due persone a superare difficoltà e a dividere gioie.

Solo così lei avrebbe compreso, perdonato, dimenticato, metabolizzando il passato, elaborando mille spiegazioni ad un comportamento ingiustificabile e strano. La colpa di Roberto era insita nella sua impetuosa giovinezza, nell’orgoglio che lo asserviva a quel carattere volubile, incapace di comprendere che quella giovane donna sarebbe stata il futuro di cui aveva bisogno e che sempre avrebbe poi cercato, anche inconsapevolmente, nella vita.

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segue  Evento e tormento

 

 

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