Tra fantasia e leggenda: Adle e il ballo delle tarantole

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Nelle favole classiche, il lieto fine è assicurato. Le vicissitudini sono sempre molto sofferte e spesso crudeli,  anche forti e inadatte al pubblico infantile, che pure le assimila con naturalezza. 

Diversi i racconti della tradizione, contenenti una propria singolare morale, descritta con simbologie ed aforismi e dove il lieto fine non sempre è assicurato.

Allegorie che rivelano e confermano come nella fantasia popolare la Giustizia terrena venga ricercata negli elementi magici, forniti dal caso sovente per intercessione dei defunti.
L’umano, non è quasi mai giudice.
Nella realtà, da sempre, ormai troppi crimini attendono giustizia nei tribunali, dove vengono disillusi ed elusi restando perfino ignorati.
La tradizione popolare insegna che il ciclo vitale non si chiude  senza aver operato fortuitamente “giustizia”, poiché il tempo continua ad essere galantuomo, molto più di quanto gli uomini possano sperare di esserlo se medesimi.

La vita scorreva semplice in paese, tra il lavoro campestre e le funzioni di chiesa. La canonica era anche fucina di vocazioni, dove giovani fanciulle venivano avviate alla vita monastica.

La famiglia di Oreste ed Angina, era composta da Adle, la più piccola di sette fratelli maschi, diventata educanda per desiderio del padre, al fine (a suo dire) di preservarne la virginea bellezza.

La vita delle educande, costituita da lavoro e preghiera, scorreva nel silenzio e nell’obbedienza, seppure lo svago venisse dall’ora di  cucina, di ricamo e di canto, preparativo delle grandi feste liturgiche nell’Avvento e nella Pasqua.

educanda al pozzoLe fanciulle, svolgevano ogni faccenda di casa e a loro era affidato l’approvvigionamento di acqua dal pozzo.
Pozzi e cisterne, rappresentavano  preziose riserve piovane, che  a stento tamponavano l’aridità delle terre del sud e nessuna dimora ne era sprovvista.
Nell’agrumeto della canonica c’era un’enorme cisterna, a disposizione, in caso di grave carenza idrica della gente del paese, per la sua eccezionale capienza.

Adle e Lina erano di turno all’approvvigionamento, con numerosi catini e secchi da colmare.
Vicine di casa e coetanee, praticamente si conoscevano da sempre, compagne di giochi, ma anche di piccoli screzi, derivanti dai continui paragoni a cui Lina era soggetta, da parenti ed educatori che elogiavano la grazia di Adle.

In un prepotente impeto malefico, Lina, spinse la povera amica nella voragine, quindi fuggì via, con la certezza di essersene liberata.

Il caso volle che un lembo della lunga veste di Adle, s’impigliasse in un ramo dell’albero di fico cresciuto sul lato interno della parete del pozzo, la fanciulla vi rimase sospesa e miracolosamente salva.

Dopo essersi ripresa dallo spavento, iniziò a pregare e a piangere, ad invocare l’aiuto della nonnina, che non c’era più e che l’aveva tenuta in fasce.

Nessuno sembrava rispondere alle sue preghiere, quando dal fondo dell’acqua scura vide emergere un’Orca.  Adle ammutolì, pensando che l’avrebbe divorata, invece il cetaceo battendo gli strani arti superiori in un ritmo di danza, richiamò tutte le tarantole dagli anfratti, le quali ruotando cominciarono a secernere un liquido vischioso e filiforme, intrecciandolo ne ricavarono una robusta fune, che dall’albero portava al boccaglio della cisterna, fornendole così la salvezza.

Intanto, erano trascorse molte ore dalla sua scomparsa,  la versione di Lina fu che Adle fosse fuggita, perché stanca della vita severa a cui erano sottoposte alla canonica.

La ragazza intanto colma di gratitudine verso l’Orca e le tarantole, si recò ancora scossa ed infreddolita verso casa sua, dove però non c’era nessuno ad attenderla, poiché tutti erano  usciti a cercarla. Sfinita s’addormentò, ma per poco, poiché il primo a tornare fu il fratello maggiore che felice avrebbe voluto avvertire  tutti. Adle lo pregò di non dire del ritrovamento dopo avergli raccontato brevemente la disavventura.

Senza rivelar l’intento, si andò a nascondere nel pollaio dove pregò il fratello di farsi raggiungere unicamente dalla madre, in grande segreto.

Il fratello obbedì e la madre poté riabbracciarla, quindi conoscere quale brutta persona fosse Lina e tutto il resto dell’incredibile storia.

Adle, chiese anche alla madre di mantenere il segreto e di portarle un ampio mantello di lana nera, con la quale dopo essersi coperta interamente, lasciando solo la fessura per gli occhi, si recò alla canonica, bussò e tese il braccio come una mendicante.

La perpetua, con gli occhi rossi di lacrime, le offrì ospitalità nel posto in cui, le disse, una delle educande più care non c’era già più, facendole così comprendere quanto la donna le fosse affezionata. Adle con fiducia le si rivelò, raccomandale di tenere il segreto, come aveva fatto con la madre.

educandeNello stanzone da letto comune, un’insolita irrequietezza percorreva gli animi delle fanciulle, che avevano perduto una cara amica, tutte ne parlavano con dispiacere sincero e le lacrime rigavano i loro volti, solo una restava in disparte, con un ghigno malvagio, completamente privo di rimorso. Adle avrebbe voluto leggere un po’ di ravvedimento, in quella che fino a poco prima aveva considerato come sorella, ma nulla.
La luce a petrolio diventava sempre più fioca e la notte, donava un pieno di luna che illuminava la stanza, filtrando dal lucernario sbarrato.
Quando ritenne di aver compreso l’animo di tutti, Adle cominciò a riavvolgere il mantello per mostrarsi, lietamente fu circondata dal calore delle compagne stupite, solo Lina sembrava impietrita, livida di rabbia e di risentimento.
Tanti furono gli abbracci e le domande e nel mentre Adle raccontava, Lina, approfittando della concitazione collettiva e sentendosi smascherata, scappò via dal retro, ritrovandosi nell’agrumeto e, proprio in corrispondenza del pozzo cadde, inciampando in quello che credette un sasso, mentre invece era il corpo disteso dell’Orca. Terrorizzata cercò di ritrarsi ma venne immobilizzata: numerose tarantole, al ritmo dell’Orca ballavano in circolo e secernevano il filo vischioso che la fissava al terreno.
ragnatela imprigionaGli artigli agili e abili delle tarantole, le intrecciarono i  capelli come lunghi serpentelli neri e le sarebbero rimasti irti sul capo per sempre, meritato castigo che, solo il perdono di Adle avrebbe potuto dissolvere.

La  colpa, invece le avrebbe segnato il resto dei giorni, ed il perdono, spettava al Giudice Ultimo.

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